Pietro Pantoni: l'ultimo boia di Torino

 


Il Boia è quella figura losca e solitaria che nel corso della storia è stata quasi sempre ripugnata dalla collettività. Eppure la stessa storia ci racconta che quest'uomo esecutore ha decretato la fina di migliaia di persone. Oggi parleremo di Pietro Pantoni; l'ultimo boia di Torino e Regno Sardo.

Ci fu un tempo neanche troppo lontano fino agli inizi del 900 che i torinesi non amavano passare per via Bonelli, poiché al civico numero 2 ci viveva una figura che applica la “giustizia”, tagliando le teste e impiccando quegli uomini rei di ogni tipo di bestialità

Chi era Pietro Pantoni 

Anche il padre di Pantoni era stato un boia per lo Stato Pontificio, come suo fratello Giuseppe esecutore a Parma. Una strada segnata fin dalla giovane età quello di Pietro Pantoni, che nel 1831 riceve la patente di Ministro di Giustizia torinese Urbano Rattazzi.

Nella sua carriera di messere della morte, per più di trent’anni, fino al 13 aprile 1864, Pantoni giustizierà 127 persone. Nello stesso anno si toglierà il sinistro mantello rosso per lasciare il passo alla fucilazione.

 Ovviamente la figura del boia veniva denigrata, è ancor più di Pantoni ne subiva le conseguenze e soffriva di questo status la moglie, che come ci viene riportato dalla cronace dell'epoca, non usciva quasi mai dall'uscio di casa.

 Non per altro, già nel XV secolo il duca Amedeo VIII di Savoia dovette intervenire per obbligare i fornai della città di Torino di vendere il pane al boia che rifiutavano di servire questa losca persona. Obbligati dal sovrano escogitarono un piano per manifestare ancora il loro disprezzo e iniziarono a consegnare alla moglie del boia il pane al contrario. Il Duca intervenne per l'ennesima volta: nacque il pancarrè, un pane uguale dai due lati, per non far torto a nessuno. Tanto era il disprezzo che provavano che le monete pagate per comprare il pane dalle consorti dei boia torinesi venivano gettate in una ciotola di aceto dai fornai, per essere “ripulite” dalla loro efferata origine.

Come veniva pagato il boia? Dopo ogni esecuzione un incaricato firmava  il foglio di pagamento indossando i guanti, per non aver nulla a che fare con quel denaro macchiato con il sangue. Infine, gettava il foglio per terra e un cameriere lo prendeva con delle pinze e lo gettava al boia, che aspettava nella tromba delle scale o sotto la finestra.

  Il tragitto dei condannati

 Per il condannato erano ore interminabili che iniziavano la sera prima dell’esecuzione, quando il boia il prete e condannato si riunivano per pregare. Lo stesso boia chiedeva perdono al prigionero per quello che la mattina seguente avrebbe fatto. Poi ecco arrivare l'alba, il condannato veniva fatto salire sul carro per direzione inferno, su quel patibolo che avrebbe interroto per sempre la su esistenza. Il tutto era di uno spettacolo macabro: quel carro scortato dai membri della Confraternita della Misericordia, tutti rigorosamente incappucciati come se fossero una seta segreta.

Esucuzione

È l'esecuzione stessa appariva come  una sorta di spettacolo teatrale. Ovvimente il luogo dell'esecuzione era quasi sempre gremito dal popolo che amava tutto questo. Prima di ogni taglio di cappoccia o impiccaggione, il boia concedeva al condannato di baciare il corcefisso e di concedergli l'ultimo pasto generalmente una scodella di minestra (al brod d’ôndes ôre, visto che le esecuzioni spesso erano alle 11 della mattina).

Purtroppo non erano rari i casi di esecuzioni andate male: impiccati non completamente morti o protagonisti di atroci e lunghissime agonie. Se il boia non veniva a meno a quest doveri, la folla invece di regalargli un applauso lo insultava, colpendolo con pietre e altri strumenti. Per evitare questi speciali incovenienti, quando l'impiccagione non terminava in modo rapido, il boia era solito farsi aiutare da altre due persone che avevano il compito di tirare le gambe del condannato, mentre il boia saliva sulle spalle, per accelerarne la morte. Il corpo veniva sepolto nel cimitero torinese di San Pietro in Vincoli.

 Il 22 marzo del 1852 su suggerimento di Pantoni. il vecchio boia Giovanni Savassa , viene collocato in pensione, chiedendo esplicitamente che venga sostituito con suo nipote Luigi, figlio del fratello Giuseppe boia di Parma.

 In una nota come scrisse l’Avvocato fiscale al Guardasigilli,  si percepisce meglio il perché dell'allontanamento dell'incarico Savassa: un uomo che superato i 50 anni soffriva di un tremolo alle gambe da cui va travagliato non possiede più quella sveltezza, franchezza ed energia che si richiede per  un esecutore di giustizia. Per non parlare delle sofferenze che avrebbe patito il condannato a morte sotto la scure di un boia che non aveva più mano ferma. L’ordine pubblico e la sicurezza della famiglia di giustizia potrebbero venire molto compromessi, poiché il popolo che assiste a tali esecuzioni ne segue con ansietà tutti gli incidenti e non la perdonerebbe a quell’esecutore e non rimarrebbe impassibile a quell’esecuzione che non si compiesse regolarmente e con la solita prontezza».

Il ministero di grazia e giustizia di Torino, con decreti del 26 agosto 1852, colloca a riposo Giovanni Michele Savassa, con una pensione di novecento lire annue, e nomina Luigi Pantoni esecutore di giustizia, con uno stipendio di mille lire all’anno.

Tuttavia questa nuove collocazione per Luigi non porterà di certo fortuna: Luigi Pantoni occupa l'alloggio lasciato da Savassa. Il giovane però non trova quella dimora di suo gradimento, descrivendola fatiscente con delle finestre che lasciano entrare acqua e aria e, infine, mancano le imposte nella stanza sul retro: lontano dal patibolo, che lo pone in una luce fosca e crudele, l’esecutore tira avanti con gli stessi fastidi degli altri esseri umani.

Come se non bastasse Luigi è sposato con una donna sembra di facili costumi, diventando ben presto lo zimbello del quartiere. Luigi non è all’altezza dello zio al quale dà solo delusioni e dispiaceri sia da un punto di vista professionale che umano. Matilde Sartoris, così si chiamava la moglie di Luigi verrà citata in tribunale dallo stesso Pietro per farla dichiarare «donna pubblica».

Solo contro tutti e incompreso Luigi viene da prima ricoverato al Manicomio di Torino, poi a quello della Senavra di Milano l’11 agosto 1861 con diagnosi di melancolia. Morirà il 4 gennaio del 1861. 

Compenso Per quanto riguarda il compenso, il salario nel 1800 di un boia era di tutto ripsetto:potendo variare da 16 lire per un rogo, 21 lire per un’impiccagione e addirittura 36 lire per uno squartamento. A fine carriera anche il Pantoni decise adottare la ghigliottina più rapida e meno dolorosa dell'impiccagine.

 

 

https://ilvasoditerracotta.com/2017/11/02/pietro-pantoni-lultimo-esecutore-di-giustizia-torinese-una-vita-da-boia/

https://www.civico20news.it/sito/articolo.php?id=38670







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