Celestino da Verona l’accusatore di Giordano Bruno, al rogo



Torniamo in pieno clima Santa Inquisizione: lo facciamo con una figura enigmatica, quella di Celestino da Verona, l'accusatore di Giordano Bruno.

Incerta è la sua data di nascita, ma sappiamo che Giovanni Antonio Arrigoni nacque a Verona, probabilmente intorno agli anni 40' del 1500. Desta ancor più curiosità la notizia la quale sarebbe stato una persona che si fingeva religiosa travestendosi da frate.

Più volte Celestino si era avvicinato al magnetico pensiero eretico. In prima persona conobbe le prigioni, dove fu incarcerato dal Sant’Uffizio a Roma e a Venezia. È proprio in quella circostanza divise la cella di San Domenico di Castello con lo stesso Giordano Bruno, arrestato a causa della denuncia di Mocenigo, il nobile veneziano che lo invitò in casa sua per essere avviato alle pratiche e discipline magiche.

Dalle carte del processo a Giordano Bruno, di cui è difficile capire perché si spinse a consegnarsi praticamente all'Inquisizione, è certo che Celestino da Verona gli attribuì una serie di affermazioni compromettenti quali:

  • Che Cristo peccò mortalmente quando fece l'orazione nell'orto recusando la volontà del Padre mentre disse: Pater, si possibile est, transeat a me calix iste.
  • che l’inferno non esiste mentre esistono altri mondi nell’universo (credere il contrario è grandissima ignoranza); 
  • che Mosè fu mago potentissimo ed i Santi dei gran furbacchioni, raccomandarsi ai quali è da stolti

Da alcuni anedotti del tempo pare che lo stesso Celestino sospettasse che Bruno volesse denunciarlo calunniandolo, perciò lo volle pagare con la stessa monete mettendo per iscritto del punto di vista di Bruno sulla dottrina cattolica. Eppure appare alquanto improbabile che Giordano Bruno architettasse di denunciare Celestino da Verona.

La logica invece ci porta a pensare che furono le manipolazioni inquisitoriali a storcere una verità non vera da una mente fragile di un uomo insicuro e remissivo nei confronti della chiesa, mi riferisco a Celestino, il fine era quello di condannare Giordano Bruno, una figura  una mente troppo scomoda per i potenti della chiesa.

Celestino era ignaro del processo trasferitosi da Venezia a Roma, portando quindi il Sant’Uffizio scagliarsi contro Giordano Bruno. Aggravandone perciò la sua posizione e mettendo in dubbio la sincerità del pentimento che egli aveva manifestato fino ad allora. 

Nel giugno del 1599 Celestino fu convocato dal Sant’Uffizio per chiarimenti in materia di fede. Ciò che fu detto era senz'altro questioni scottanti e importanti, e non di certo i deliri di un invasato reso pazzo del terrore. Lo stesso Pontefice impose il più stretto riserbo sulla questione e ad accelerare il corso del processo, terminato il 15 agosto del 1599. Imprigionato nella prigione pontificia di Tor di Nona, gli inquisitori tentarono invano di far abiurare il frate.

Oramai anche il destino di Celestino da Verona era segnato: Il 16 settembre, in piena notte, in modo da evitare gli abituali concorsi di folla, Celestino fu arso in Campo de' Fiori. Il giorno dopo, l'ambasciatore toscano Francesco Maria Vialardi scrisse al granduca Ferdinando di «quell'huomo sceleratissimo, che ostinava che Cristo Nostro Signore non ha redento il genere umano»

 Singolare figura e amaro frutto dei suoi oscuri tempi quella di Celestino da Verona, frate francescano accusatore di Giordano Bruno e destinato a precederne tragicamente i passi verso il rogo in Campo dei Fiori

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