Mastro Titta: la vita e i pensieri oltra al boia

 

Mastro Titta, boia della Roma papalina fu un personaggio dalla spiccata personalità carismatica, in virtù della sua professione e carriera da boia lunga 68 anni: iniziata il 22 marzo 1796, terminata nel 1864, che lo vide eseguire ben 514 condanne a morte.

Tra le migliaia di persone che accorrevano a quel macabro spettacolo, anche illustri spettatori come come il poeta George Byron, anni più tardi , i quali rimasero di sasso, nel vedere Bugatti senza mostrare alcun sentimento tagliare la testa a un altro uomo.

Oltre la scena finale della decapitazione, c'era ben altro nella perfezione targata mastro Titta: egli sfoggiava un mantello rosso, rosso come il sangue che un condannato avrebbe versato sotto le mai del boia di Roma.

Eppur, si dice che mastro Titta prima di eseguire ogni pena capitale mostrava una certa umanità nei confronto del condannato a morte, sia in prigione che sotto il patibolo, utilizzando tutta la sua maestria affinché il condannato potesse patire il meno possibile il dolore.

Un’abilità senza precedenti quella di Bugatti, ovviamente la forca era il suo pane quotidiano. Proprio grazie alla sua bravura con la corda, gli valse il soprannome di "Mastro Titta", che significa "maestro dell'impiccagione".

Sulla sua professione si è detto di tutto, ma oltre al boia esisteva un altro Giovanni Battista Bugatti, mi verrebbe da dire un uomo qualunque, che come lavoro aggiustava e vendeva ombrelli. Senza fare l'esecutore, Bugatti avrebbe vissuto davvero una vita di stenti.

La sua dimora era al numero civico 2 di Vicolo del Campanile, sulla riva destra del Tevere. Forse era schiavo di una vita inutile? Non possiamo dirlo per certo, ma probabilmente la malinconia albergava sicuramente nell'anima e nella mente di mastro Titta. Questo sentimento lo rende una persona più umana è meno cinica di come il racconto standard l'ha da sempre catalogato


È proprio in questa sfaccettatura che dobbiamo soffermarci, raccogliendo alcuni aneddoti di quella Roma papalina che riguardano mastro Titta, asserendo che Bugatti dopo ogni esecuzione rincasava con aria cupa sul volto. Come se qualcuno o la sua coscienza gli rinfacciasse quel suo sporco lavoro.


Tuttavia, nei mesi di inattività a Mastro Titta era proibito in modo precauzionale di andare dall'altra parte del Tevere detto popolare "Boia non passa Ponte", a significare che ciascuno dovrebbe rimanere nel proprio ambiente. Questo per spiegare, se ancora ce ne fosse bisogno che Bugatti era un uomo qualunque senza il mantello rosso da boia, anzi molto impopolare, un'invisibile.

Ma qual era la sua sfera privata? È certo che mastro Titta fosse sposato con due figli, ma dei loro nomi non viene riportato nessun dettaglio. Possibile che i suoi familiari a causa della nomea del proprio padre dovessero quotidianamente scontrarsi con battute poco felici e scherni verso il loro genitore. Eppure Bugatti mai avrebbe potuto opporsi alla giustizia e al volere del papa.


Neanche nella sua ultima confessione prima di morire, Bugatti si pentì di aver giustiziato tutte quelle persone.


Dal rovescio della medaglia, potrebbe essere che egli fosse una persona tormentata dalla sua professione di carnefice e si sentisse in colpa per alcune esecuzioni che aveva dovuto eseguire. Ancor oggi la sua vita è oggetto di studi, ma tuttavia ci sono dei vuoti specialmente per quel riguarda l'uomo dietro la maschera da esecutore.


Il 17 agosto 1864 dopo 68 anni di ininterrotta attività, venne sostituito da Vincenzo Balducci. Si spense l’8 giugno del 1869. La sua morte avvenne in modo naturale, non ci sono indizi che fu assassinato a causa del suo lavoro di carnefice.   




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